Ucronìa, N°240 – Dylan Dog – serie regolare | Soggetto e sceneggiatura: Tiziano Sclavi | Disegni: Franco Saudelli | Copertina: Angelo Stano
Ucronìa tutti i “se” della finzione
< I > Letteralmente, in greco, il termine ucronìa significa “nessun tempo” (Ou, kronos) e circoscrive quella tipologia di narrazione che ipotizza le conseguenze di avvenimenti storici andati diversamente da come vengono descritti sui libri di storia. Il termine compare la prima volta nel 1857 in un saggio di un filosofo francese Charles Renouvier, che ridisegna una storia utopistica immaginando piccoli eventi che al tempo di Marco Aurelio avrebbero bloccato la diffusione del Cristianesimo, e vanta una vasta letteratura che chiama in causa nomi di Philip Dick, Robert Harris, Harry Turtledove e Winston Churchill.
Il più curioso rimane l’esperimento narrativo tentato da Dick e pubblicato nel 1962 “The man in the high castle”, conosciuto in Italia come “La svastica sul sole“. Nella realtà creata dall’autore statunitense gli alleati hanno dovuto soccombere allo strapotere Giappo-Nazista che ora si dividono fra loro le fette e le sorti dell’intero pianeta. La curiosità consiste proprio nell’avere introdotto un particolare espediente narrativo: un best-seller, clandestinamente in circolazione, intitolato “The grasshopper lies heavy” che immagina a sua volta un mondo in cui le forze dell’asse risultano i vincitori del conflitto mondiale. Ovvero una metaucronia.
Ucronìa, Dylan Dog e i gatti
< I > Uno dei ciclici ritorni alla sceneggiatura di Dylan Dog da parte di Tiziano Sclavi ha segnato l’introduzione di questa particolare forma narrativa nella serie regolare del fumetto (Ucronia – N°240). Il noto indagatore dell’incubo quindi ha fatto il suo ingresso nel mondo dei quanti e ad accompagnarlo, come proprio personale Virgilio, una vecchia conoscenza dei lettori più assidui: l’enigmatico dott. Knock.
Il buon vecchio dottore chiama in causa niente meno che uno dei padri fondatori della meccanica quantistica, Edwin Schrödinger, per accompagnare scientificamente il mistero degli universi paralleli e delle, appunto, ucronie. Dylan di trova così di fronte al famoso esperimento (concettuale) dello scienziato austriaco, conosciuto come “Il gatto di Schrödinger”.
Il fisico ipotizza che se noi poniamo un gatto e un atomo eccitato, entrambi dentro un contenitore isolato, nel momento in cui l’atomo emette un fotone questo porta al decesso del gatto (per buona pace di tutti gli animalisti). Lo stato del sistema prima della nostra osservazione risulta essere la sovrapposizione quantica di due stati puri: gatto vivo più gatto morto. Cioè il gatto è sia vivo che morto. Dal momento in cui il fisico decide di osservare il sistema dall’esterno si ha quello che Schrödinger chiama il collasso della funzione d’onda, ovvero introducendo un elemento esterno al sistema quest’ultimo viene irrimediabilmente compromesso, prendendo una delle due direzioni: o gatto vivo o gatto morto. Ma cosa succede prima nessuno lo può sapere. Un’ipotesi è che due universi paralleli prendano direzioni differenti, a seconda del destino del povero gatto, facendo così ulteriormente sbizzarrire fiotti di scrittori.
Ucronìa questa (in)conosciuta
< I > Questo fenomeno porta alla conclusione che non è possibile osservare la realtà se non alterandola. Nulla di nuovo comunque da questo punto di vista, già nel 1819 Arthur Schopenhauer nella sua opera più famosa aveva affermato che non si può conoscere se stessi, poiché la conoscenza richiede un soggetto conoscente distinto dall’oggetto conosciuto. Tale distinzione è proprio ciò che gli esponenti della fisica classica, da Galilei a Newton fino a Einstein, credevano ingenuamente di poter dare per scontato, ma che, con la teorizzazione della meccanica quantistica, è stata pregiudicata. Nel novecento in certi ambiti filosofi e scientifici si è giunti alla conclusione che non è possibile dare una descrizione quantistica dell’universo intero poiché tale osservazione richiederebbe un osservatore esterno.
Il paradosso di Schrödinger comunque lo si può accettare solo se inserito nel mondo subatomico, nessun scienziato sano di mente può pensare di applicare l’esperimento del gatto all’universo macroscopico, ma questo tanto basta a Sclavi per costruire la sua vicenda ucronica immaginando lo sviluppo dei suoi universi paralleli.
D’altronde: “Dio non gioca a Dadi con l’uomo” diceva Einstein, ma Sclavi con Dylan Dog sì.