Diversamente dalle ameni e rilassanti colazioni che io e S. siamo soliti fare durante le mattine d’ozio, l’esercizio della scrittura è faticoso.
A ben vedere l’atto stesso del pensare è decisamente faticoso. Di conseguenza non è complicato dedurre come a sua volta anche la riorganizzazione costante e continua delle idee da tradurre materialmente in sequenze compiute e gradevoli di parole non dovrebbe esserlo da meno.
Insomma abbiamo capito, scrivere è molto faticoso ma è una delle poche cose che si possono fare stando comodamente seduti (l’altra è morire direbbe Woody Allen, preferendo però la più consona posizione distesa).
Ora che ci penso meglio anche riposare è faticoso e stancante. Non bisogna farsi trarre in inganno dalle apparrenze perché per avere a disposizione la sacrosanta libertà di essere lasciati in pace bisogna prima di tutto aver predisposto il tutto per godersi l’agognato momento di relax e aver evitato la possibilità di imprevisti e grattacapi. Ma il riposare al giorno d’oggi può essere molto di più. In una società occidentale-capitalistica dedita alla prestazione, alla produzione e al consumo (nonché alla glorificazione di questi tre aspetti), riposare può essere un atto rivoluzionario, un gesto di resistenza e perché no: un’espressione della propria personalità.
Seduto pacificamente senza far nulla
Haiku di Zenrin Kushu
viene la primavera
e l’erba cresce da sola
Se in un determinato momento ci si sente in colpa perché non si sta sfruttando appieno anche l’unico ritaglio di tempo a disposizione che si è riusciuti a risparmiare fra lavoro-figli-palestra-casa-vitasociale-hobby si sappia che l’universo procede lo stesso, anche senza il nostro apporto.
Si consideri che, di contro, giudicare l’inoperosità non fa essere all’improvviso persone migliori e che cercare di redimere il pigro probabilmente non è la soluzione ideale.
Si ricordi che non è vero che il pigro non fa nulla anzi, tuttaltro. Il pigro fa di tutto per riuscire a non fare nulla: si adopera alacremente e incessantemente per creare le condizioni favorevoli al proprio scopo. (Do you remember Donald Duck?)
La fatica di essere pigri, Gianfranco Marrone, Raffaello Cortina Editore, 2020.
La pigrizia proviene da lontano e la sua secolare storia si intreccia con l’esecizio dell’ozio intellettuale e con la condanna morale dell’accidia. Pigrizia, ozio e accidia non sono propriamente sinonimi in quanto riflettono aspetti diversi dello stesso concetto in relazione al periodo storico, alla cultura dominante in cui questi termini sono emersi e al significato che la società ha dato nel corso degli anni al termine “lavoro” (espiazione del peccato originale, condanna, autorealizzazione di sé…)
La pigirizia non è quindi un’accezzione che riguarda l’invididuo in sé ma fa riferimento all’individuo come parte di una comunità in quanto reagisce a un sistema di valori e di comportamenti condivisi.
Nel corso dei secoli quindi a vestire i panni dei moralizzatori anti-pigrizia (con tanto di dito puntato contro e snobistico atteggiamento di coloro i quali la sanno lunga) si sono messi via via i sostenitori dell’etica calvinista, i fautori del produttivismo incessante fino ad arrivare al giorno d’oggi. A coloro che, in nome del consumismo più snervante, giocano sul senso di colpa generato dal comune pensiero per quell’inattività che non alimenta le magnifiche sorti e progressive di Leopardiana memoria e quindi non è funzionale a un mondo che ha bisogno dell’attività di tutti per produrre ma soprattutto per continuare a consumare i prodotti e le merci (materiali e immateriali, culturali e spirituali che siano) che alimenta senza soluzioni di continuità.
Fissare obiettivi, procedere per steps, fare, strafare, list to do, stare perennementi occupati con assoluta dedizione, con zelo e con persevaranza. Pena? Pena la convizione che rimanere senza far nulla significhi gettar via quel tempo così prezioso che abbiamo in dote.
E allora diamoci dentro con un corso di cucina bio, una terza lingua, il corso di editing fotografico, la palestra, la pila di libri sul comodino, l’aperitivo, la degustazione di vini naturali. Uno-due-tre-quattro servizi di stremaing TV e poi la piscina, la mostra fotografica, gli acquisti online, lo spettacolo itinerante, il concerto sperimentale, il parrucchiere, il compleanno dell’amichetto della figlia adolescente, i genitori che non ci vedono mai, il cinema, la spesa selezionata, l’orto a km 0, l’amico che non incontriamo da tempo. La moglie, il fidanzato, l’amante, il 25 aprile da ricordare, la visita dal gastroenterologo, lo spettacolo teatrale dell’amica d’infanzia, il compleanno del cane, il profilo social da aggiornare. E ancora, l’anniversario da ricordare e il lavoro, l’assicurazione da confrontare, le serie TV appena uscite, le api da difendere, un pianeta da salvare.
Tutto questo ha un nome e si chiama delirio. Delirio consapevole e indotto.
Un’ininterrota lista capace di generare solo ansia da prestazione in relazione alle molteplici sollecitazioni che questa “società dell’obbiettivo da raggiungere” pone dinnanzi e che, ovviamente, resta difficile da portare a termine completamente. Portando l’individuo a sentirsi prima di tutto in difetto con sé stesso e poi nei confronti degli altri, veri misuratori della pressione sociale a cui tutti vengono instancabilmente sottoposti.
Sisifo levate proprio.
E dunque cosa c’è di più irrispettoso e sottilmente provocatorio nei confronti dei paladini del consumismo e dell’arrivisimo del non fare nulla? Quando anche il consumo (sia di merci che di prodotti culturali) è diventato un obbligo sociale, un ricatto, un dovere economico, quando anche il tempo libero è diventato un lavoro e un aggregato di occupazioni per essere sempre impegnati, cosa è rimasto del tempo libero? Del vero Tempo Libero, intendo, dell’ozio, della stasi dei pensieri; quando è possibile stare inerti a riscoprire la particolare sensazione di una mente libera in grado di rielaborare i propri stessi processi e, magari, dare soluzioni inedite e innovative agli assillanti problemi quotidiani. Quando è possibile essere lasciati a sé stessi, a galleggiare nella propria inania oppure a inventare storie e avventure, quando si può essere Snoopy, siepe di fiori, Nulla di tutto questo, Moll Flanders o Winston Smith. Steve Hurkel e ornitorinco. John Long Silver.
Invece l’oziare terrorizza l’occidente proprio perché non porta a risultati concreti e istantanei, in quanto non mira al miglioramento e non conduce a nessuna redenzione attraverso l’autorealizzazione di sé. L’oziare è fine a sé stesso e non è utile. Come tale va quindi bannato, condannato, stigmatizzato e infine deriso.
Ma può esserci una via di uscita da tutto questo. Non è propriamente un’estrema exit strategy ma almeno è una terza opzione da intraprendere. Credo, guardando più in là del consueto orticello e senza necessariamente scadere nella new age d’accatto, che in un antico testo sapienzale della tradizione cinese ci siano alcune (poche) parole a riguardo e mi pare giusto riportarle.
Nel Tao Te Ching di Lao Tzu emergono alcune considerazioni che possono tornare utili in questo caso là dove si sottolinea l’attività del saggio: il saggio non fa, il saggio vive. Mette da parte ogni titanica volontà di trasformazione della realtà e non cerca prometeicamente di lottare contro il mondo piegandolo ai propri fini ma si immerge in esso sfruttandolo dove possibile e adeguandosi a seconda delle possibilità. Il saggio cancella il superfluo, si libera dei condizionamenti esteriori, elide enfasi e aspirazioni. Il saggio lavora moltissimo ma non opera transitivamente; fa emergere il tao, ovvero il percorso da intraprendere, in maniera autonoma e consapevole. Il saggio sa che la ricchezza non deriva dal soddisfare illimitati bisogni e raggiungere l’abbondanza materiale ma, al contrario, dal commisurare le aspettative di partenza.
Le aspettative dunque sono all’orgine dell’infelicità e possono essere applicate generando leve malefiche e controproducenti su sé stessi, sugli altri, sugli eventi e sulle cose. Con i medesimi disastrosi risultati.
[…] fai con il non fare
Tao Te Ching di Lao Tzu
agisci con il non agire
permetti all’ordine di sorgere da solo.
Da queste parole emerge una filosofia di vita dove un atteggiamento simile ai tratti salienti della pigrizia diviene valore positivo e allo stesso tempo critica politica contro la frenetica società contemporanea e l’operosità in generale, vista invece come unica via possibile e socialmente tollerata di felicità individuale.
Insomma, oziare è decisamente un atto anarchico. Di fatto l’unico che mi sia rimasto.
Perché dunque non scrivere due righe a riguardo giusto per tenermi occupato e non gettare via il mio prezioso tempo? Torno a fare colazione che è ciò che mi riesce meglio.
Adoro le contraddizioni ma S. sta aspettando.
Bibliografia
- Importanza di vivere, Lin Yutang, 1937.
- Ore d’ozio, Kenko Yoshida, 1330-32. Tit. orig. “Tsurezuregusa“.
- Oblomov, Ivan Aleksandrovic Goncarov.
- Tao Te Ching, Lao Tzu.