Essere Danny Ainge(s)

Danny Ainge

“I am large, I contain multitudes.” Questo è un verso di una delle più famose e (purtroppo) inflazionate poesie del poeta americano Walt Whitman. A detta dello scrittore nato a Long Island, sono molte infatti le moltitudini che un essere umano può contenere, potenzialità culturali e fisiche che, se adeguatamente alimentate da un sano contesto competitivo e multi-potenziale, possono concretizzarsi e realizzarsi.

Vale per il sapere, per la cultura come per l’attività fisica, ma dipende moltissimo dall’ambiente in cui si cresce e si vive.

Circoscrivendo la questione in ambito cestistico, a questo riguardo, il telecronista e giornalista triestino Sergio Tavčar nel suo libro “La Jugoslavia, il basket e un telecronista. La storia della pallacanestro jugoslava raccontata dalla voce di Telecapodistria” sottolinea un fatto molto preciso per descrivere la grandezza degli atleti che hanno origine nelle aree della ex-Jugoslavia e per inquadrare l’esplosione di un movimento sportivo che ha avuto e continua ad avere dell’incredibile.

L’importante è fare sport, il maggior numero di sport possibili, cosa che ti da un ampio arsenale di movimenti e che, soprattutto, ti fa capire quali siano le esigenze di ogni singolo sport. Ciò proprio perché hai una visione stereoscopica che ti permette di adattare tecniche e filosofie di altri sport allo sport che stai praticando in quel momento.

Sergio Tavčar

L’ecletticità sportiva a cui vengono, fin da tenera età, sottoposti i bambini e successivamente i giovani atleti balcanici ha pochi eguali in Europa. Inizialmente, fino più o meno agli anni ‘70, i ragazzi sono stati fatti avvicinare senza soluzione di continuità sia al calcio che alla pallamano. Poi, nei decenni successivi fino ad arrivare ai più recenti, si sono aggiunti anche pallacanestro e pallavolo. Questi sono gli sport con cui le giovani leve balcaniche entrano a diretto contatto, spesso simultaneamente.

Toni Kukoc, per esempio, gioca a tennis tavolo e calcio prima di esplodere come giocatore di basket. Ma di storie come queste ce ne sono molteplici. Questo non può fare che bene, secondo l’opinione di Tavčar, prima di tutto alla consapevolezza motoria dell’atleta. Essere sottoposti a stimoli di diversa natura allena la plasticità di un fisico che poi in età più adulta può assorbire con maggiore facilità i carichi, le variabili e le tensioni dello sport professionistico. Per non parlare della velocità e della coordinazione psico-motoria.

Allo stesso modo, nei paesi a noi più vicini, solo gli ex stati sovietici storicamente hanno mantenuto questa tendenza con risultati poi destinati a evaporare una volta scontrati con la parcellizzazione politica degli stati membri dell’ex-URSS. Lituania a parte. In altri casi e contesti culturali una esasperata specializzazione rischia di ingabbiare i giovani corpi degli atleti in percorsi già precondizionati senza tener conto del quadro d’insieme dello sviluppo di un individuo.

Negli Stati Uniti, invece, la tendenza di un avvicinamento polivalente allo sport è una norma sociale da tempo immemore. Non è infatti raro che giocatori professionisti in qualche disciplina si siano cimentati in sport differenti (per la maggior parte appartenenti alle fab four Basket-Baseball-Football-Hockey). È un fatto di cultura sportiva molto condivisa che una persona si avvicini a più sport contemporaneamente e non solo in giovanissima età ma proseguendo con gli studi fino alla high school e poi al college.

I nomi di Dave DeBusschere, Scott Burrell e Pat Connaughton, per esempio, sono tutti legati in diversa maniera sia alla MLB, la lega professionistica di Baseball, che alla NBA. Chase Budinger, dopo aver passato alcuni anni a girovagare tra Minneapolis, Houston e Vitoria, ha appeso le scarpe (da basket) al chiodo ed è diventato giocatore professionista di Beach Volley.

Se vi state chiedendo dove sia finito Chase Budinger ecco la risposta…

Nate Robinson avrebbe potuto scegliere indistintamente tra una carriera nel football americano come cornerback e una nella pallacanestro. Ma questi, non sono gli unici nomi famosi e non sono nemmeno così rari.

Il brevissimo elenco di giocatori ed ex professionisti NBA non è completo. Procede per fascinazione e per potenziale narrativo “what if”. Provate a immaginare infatti se Allen Iverson avesse giocato per i Fighting Irish di Notre Dame (come avrebbe effettivamente potuto) e poi diventare un quarterback della NFL. Di quale domanda sarebbe potuto diventare “The Answer”?

E cosa dire di John Havlicek. Quanti palloni decisivi durante un SuperBowl avrebbe intercettato Hondo se fosse stato confermato dai Cleveland Browns alla fine del training camp del 1962?


Essere Danny Ainge(s) – Overtime. Storie a spicchi – 16 dicembre 2021



 

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